IL PREZZO DELLA PERFEZIONE

Non l’avrei mai chiamata così, ma credo di potere ammettere, oggi che ne sono uscita, di essere passata nel tunnel dell’anoressia. Non ero un “caso grave”, non mi definivo malata, mi limitavo a mangiare il meno possibile, ma non compievo azioni “attive” come il vomitare, volevo mantenere l’autocontrollo. Il trucco era semplice: dicevo solamente “sono a dieta”. A chi mi vedeva mangiare poco a pranzo dicevo che nella dieta si lasciava più spazio al cibo durante la cena, e viceversa.
Non è stato difficile prendere in giro chi mi stava vicino, anche perché, in realtà, di vicino, non avevo nessuno. Forse inconsciamente volevo solo che qualcuno mi notasse, elemosinavo un po’ di amore, e, se lo avessi ottenuto, forse non sarei arrivata a compiere certe gesti di cui adesso mi vergogno.
I primi a volermi mettere i bastoni fra le ruote furono i professori: avevano notato che quotidianamente, a ricreazione, restavo in classe da sola e leggevo senza sosta per 15 minuti; studiavo qualsiasi materia, persino religione, mi concentravo al massimo sulle pagine dei miei libri, pur di occupare quel quarto d’ora interminabile. Ovviamente chiamarono a casa per avvisare i miei, che, invece di intuire che non uscivo dalla classe perché non volevo mangiare, per mia fortuna pensarono che non avessi amici. In fondo quella chiamata mi agevolò: per tranquillizzarli cominciai ad uscire più spesso, seppure da sola, inventando amiche simpatiche e premurose che spesso mi invitavano a pranzo o a cena fuori. Così non solo saltavo i pasti e risparmiavo i soldi del pranzo, ma mi tenevo alla larga dai dolci e dai vari cibi ipercalorici che si trovavano in casa.
Nel cassetto delle calze nascondevo uno scatolino con dolci prelibatezze: quando mi sentivo così male che credevo di svenire ne aprivo una, la scartavo come se fosse stata preziosa e fragile, la odoravo e, se trovavo il coraggio, la mangiavo, masticando molto lentamente. Spesso, nonostante le amicizie fittizie, ero costretta a restare a casa, così ebbi un’altra “meravigliosa” idea: mi feci regalare un cane dai miei genitori. Probabilmente starete pensando: perché ero sola? Perché volevo compagnia? Per avere una nuova distrazione?
Eh no, io, con varie scuse, dicevo che cenavo in stanza e poi rifilavo il tutto al mio amico peloso. Stavo comunque attenta a non farlo mangiare troppo, un po’ perché mi serviva, un po’ perché mi ero affezionata al mio nuovo complice a quattro zampe.
Il mio primo obiettivo fu quello di arrivare a 40 kili, ma ovviamente, una volta giunta al traguardo, me ne prefissi un altro molto più ambizioso. Ogni mattina mi svegliavo e subito correvo a pesarmi. Da quel numero sarebbe dipesa l’intera giornata, generalmente volta ad un solo scopo: perdere peso, perché, il giorno seguente, la lancetta si trovasse più a sinistra del giorno prima.
Cominciai a trascorrere la ricreazione chiusa nel bagno della scuola: fumavo una sigaretta, una sola al giorno, per il semplice motivo che sapevo aiutasse a bruciare i grassi. Quanto ero stupida.  Il pranzo, quando ero a casa, si dissolveva con giochi di prestigio davvero eccezionali. Riuscivo a far sparire ogni traccia di cibo senza lasciare nemmeno le briciole, magari avvolgendo il tutto in un tovagliolo, per poi ficcarmelo in tasca; a cena, possibilmente, portavo il vassoio in stanza dati “i troppi compiti da terminare” e poi me ne sbarazzavo lasciando che il mio cucciolo mangiasse al posto mio.  Devo ammettere che a scuola mi impegnavo sempre di più, al punto che lo studio divenne un’ossessione. Studiavo continuamente, pur di non fermarmi, pur di non pensare al cibo. Raramente, esausta per le ore passate sui libri, uscivo a fare una corsa, anche se, giorno dopo giorno, le mie prestazioni andavano peggiorando. Non avevo fiato, mi girava la testa e spesso mi sentivo sul punto di perdere i sensi. Quando ero troppo stanca per studiare o per uscire di casa giocavo al computer, spegnendo ogni pensiero.
Ricordo come fosse ieri il momento in cui lo ammisi per la prima volta: parlavo di anoressia con un amico, col mio solito tono distaccato, e lui mi chiese cosa, secondo me, potesse provare un’anoressica nei confronti del cibo. Inizialmente il discorso mi risultò noioso, continuavo a ripetere “non so”, “forse”, e sbuffavo come se l’argomento non mi toccasse. Poi lui iniziò a farmi domande, io iniziai a contraddirlo e ben presto mi accorsi di aver alzato la voce, mi ero scaldata e mi ero lasciata prendere la mano. Lui non riusciva capire cosa si provasse, come ci si sentisse ad odiare il cibo, ad esserne disgustati, a provare una sorta di soddisfazione nello stringere la cinta ancora di più. Trovava stupido rinunciare a nutrirsi, essendo coscienti di farsi del male. Non capiva cosa significasse lottare per lasciarsi morire. Mi diede della stupida quel giorno. Oggi credo che possa capire solo chi ci è passato. Mi chiese perché avevo deciso di farmi male in quel modo e io gli risposi, con le lacrime agli occhi: “perché solo così riesco a sentirmi benvoluta, per una volta mi sento a mio agio, riesco a reggere lo sguardo altrui. Adesso sono parte di un tutto, di quel modo di essere che odio. Adesso sono come chiunque altro e va bene così. Non mi importa quanto alto sia il prezzo da pagare.”

Quel giorno, appena tornai a casa, scrissi questa pagina di diario:
25/05/08
Caro Diario, non capisco cosa mi stia succedendo. Da mesi l’unica cosa che desidero è solo ed esclusivamente dimagrire. Ho iniziato un po’ per scherzo, un po’ per noia, volevo trasformare la mia stupida vita inutile in qualcosa di più eccitante, volevo non essere invisibile. Ho sempre portato gli occhiali e l’apparecchio e non mi sono mai curata abbastanza del mio aspetto: non mi importava di indossare abiti firmati e stretti, di truccarmi, di impiastricciarmi il viso con creme costose, di occuparmi di avere french e smalti luccicanti sulle unghia. Più semplicemente, non mi importava di essere una fotocopia, di seguire la massa. Guardavo le mie compagne: delle capre magrissime che vivevano di gossip e palestra; e io, seppure ammirandole per la loro bellezza, mi convinsi che non le avrei mai raggiunte per mia volontà, perché io volevo restare unica. Era una bella idea, all’inizio. Poi venne l’età dei primi fidanzatini: le capre trovarono i caproni e i sacrifici in palestra si notarono benissimo quando a mare indossarono i loro costumi stretti e provocanti.  Io invece continuavo ad essere sola, non riuscivo a trovare qualcuno che mi apprezzasse per cosa c’era nella mia testa e non per le forme del mio corpo . Anche se ero pigrissima ed odiavo qualsiasi sport, mi iscrissi in palestra. Inizialmente andavo una volta a settimana, poi due, poi tre giorni la settimana e ben presto divenne un’ossessione. Odiavo andarci, ma, quando eseguivo gli esercizi, pensavo a quanto la mia fatica ed il mio sudore mi avrebbero aiutata a modellare i fianchi, a quante calorie andavo perdendo. Questo pensiero mi spingeva ad andare avanti, a superare anche i miei limiti, ad esagerare, pur di perdere qualche grammo in più.
Successivamente mi lasciai convincere a comprare dei trucchi, poi la piastra, poi i vestiti stretti, le minigonne.. Cominciai ad uscire sempre più spesso, a conoscere gente nuova ed a ricevere apprezzamenti sul mio nuovo look.
La palestra non fu l’unico sacrificio. Volevo che le mie compagne mi invidiassero, volevo superare ogni loro sforzo ed essere la più bella, per questo motivo ancora, spesso, salto i pasti, rifiuto il cibo, e credo di essere diventata dipendente dal truccarmi ogni mattina. Ho persino fatto shopping in negozi costosi e adesso ho anche un piercing all’orecchio sinistro. Io. Io, che mi ritenevo migliore delle capre, sono diventata una di loro, un clone come tanti. I primi tempi ho conosciuto l’autostima, ma da quella è nata anche una strana sensazione di odio verso me stessa che non riesco a spiegare bene: ora so che posso fare di più, e voglio sempre di più,  comincio anche a non apprezzarmi, a piangere davanti  allo specchio perché vedo un ragazza falsa, bella all’apparenza, ma coperta da strati di trucco, con vestiti così stretti da non riuscire a respirare, con rotoli di grasso ancora sotto le braccia, con troppa ciccia ancora da smaltire nella pancia, con enormi quantità di chili che DEVO perdere, perché sento la pesantezza di 37 chili e 6. Arrivata ai 40 credevo che mi sarei accontentata, ma non ci riesco. Ancora non capisco se accettarmi o odiarmi, non capisco chi sono veramente e cosa voglio. Sento di avere cambiato il mio carattere, forse è così, anche se per alcune persone resterò sempre quella ragazza invisibile e sola, che non aveva una vita sociale. Per i più superficiali invece sono “rinata” e comincio a godere di una certa fama a scuola. Era questo ciò che volevo? Mi sta costando così tanti sacrifici che mi manca la serietà e la spensieratezza di prima, le abbuffate, e anche la solitudine. Mi manca anche il cibo, mi manca il sapore delle torte, del cioccolato, mi manca mordere un panino così alto da doverlo prendere con due mani, mi manca mangiare una porzione indecente di pasta alla carbonara. Ma questo è più importante. Ne vale la pena. A volte mi spavento dei miei pensieri, del mio nuovo modo di ragionare; a volte ho paura delle mie nuove abitudini. Ho paura delle notti passate a studiare, delle intere giornate passate in palestra, delle corse mattutine, dell’eccessivo camminare a piedi per poter perdere qualche grammo in più.  Quanto potrò sopravvivere con questa maschera di cera? Ho paura, non so cosa fare, dove sbattere la testa, a chi appoggiarmi, non so più  nulla. L’altra notte ho passato un’ora a piangere sul cuscino perché la fame non mi lasciava dormire, quindi ero scesa dal letto per prepararmi qualcosa di caldo, ma ho subito perso il controllo e mi sono ritrovata a muovermi come un cane da tartufo, velocemente, mangiavo con le mani ed in pochissimo tempo avevo già divorato TROPPO cibo (due panini conditi con tutto quello che avevo potuto trovare.) Mi sono vergognata immensamente, ma non ho avuto il coraggio di vomitare. Sono fatta così io… Voglio limitarmi a dimagrire, a rifiutare il cibo, ho una gran paura di diventare più “attiva”, non voglio vomitare.. A volte spero di potere dimagrire così tanto da scomparire, a volte penso seriamente che mi sto lasciando morire. Eppure certe volte credo che  tutti questi cambiamenti mi abbiano fatto bene, mi sento più felice, sento di essere più attraente, sento di piacere… sono così confusa.. ah quanto mi odio.. ma almeno mi odio meno di prima, di quando ero la studentessa invisibile che nessuno notava.. non lo so, non lo so più cosa voglio.. mi odio.. ma forse mi preferisco a prima, o almeno credo… Però su una cosa Fabri ha davvero ragione: sono veramente INCOERENTE!

Quando decisi di uscirne però, Fabri, il mio unico vero amico, fu l’unica persona che poté starmi vicina, smisi anche per lui, perché vedevo che si preoccupava per me, perché la mia salute sembrava importare più a lui che a me. Tutta la mia attenzione era diretta al mio corpo e al conseguente disgusto che mi provocava, ma a lui sembrava importare di più cosa stava nella mia testa. Al contrario delle persone che mi incitavano a continuare per non rendere vani i miei sacrifici: quelle persone che si definivano mie amiche, ma che in realtà mi facevano solo del male.
Ricordate la foto di Toscani, quella della modella anoressica di 31 kili che fece tanto scalpore? Vedendola, la mia prima impressione fu di stupore, inizialmente accompagnata da un senso di quasi ammirazione: più guardavo quella foto, più mi chiedevo cosa la gente vi trovasse di strano. Io vedevo una donna effettivamente magra, forse un po’ troppo, ma mi dovetti concentrare per capire quanto davvero stesse male. Guardandola (senza avere letto l’articolo giornalistico) mi chiedevo se quella donna fosse felice, se avesse raggiunto il suo peso ideale, o se volesse dimagrire ancora; al suo posto io avrei provato a perdere anche quel leggero strato di “pelle” della pancia. Eh sì, sarò stata malata, ma io lo vedevo. E’ quello strato che ogni mattina ti fa disperare, che ti fa stare ore davanti lo specchio a piangere, quei grammi che non riesci a perdere, quel motivo in più per tornare a piedi da scuola anche se ciò vuol dire camminare per un’ora sotto il sole cocente, è il motivo per cui se riesci ad andare a dormire completamente digiuna stai col sorriso sulle labbra nonostante i crampi allo stomaco. E’ semplicemente il tuo obiettivo. Quella foto però mi cambiò la vita: il mio professore di italiano ci stupì lasciandoci un tema proprio su quell’immagine e tutta la classe non seppe cosa scrivere. Tutti, tranne me, non riuscivano a trovare le parole, le motivazioni, a spiegarsi perché una donna si riducesse in quel modo; io non trovavo i motivi per cui non dovesse farlo, e non riuscivo a fare trasparire il mio “ipotetico” disgusto nel tema. Il professore uscì un attimo dalla classe e vi scoppiò il putiferio. Tutti iniziarono a parlare e a commentare quella foto, quel mostro scheletrico incontentabile e fu allora che cominciai a vedervi una donna immensamente triste e fragile, una donna che aveva deciso di gestire l’unica cosa che poteva controllare: il cibo. Avevo paura di diventare così, avevo paura del fatto che qualcuno, in futuro, avrebbe potuto definirmi “mostro”, che avrebbero potuto paragonarmi agli uomini-scheletri superstiti dei campi nazisti. Immaginavo i loro commenti, i loro giudizi; fino a quel momento pensavo che fossero loro gli stupidi, ma forse ero solo io a non capire. Quel giorno, uscita da scuola, tornai a casa in autobus, non feci la strada a piedi come sempre. Arrivata a casa preparai la pasta, poca, ma mangiai. Mi sentivo ancora un po’ in colpa, ad ogni cucchiaiata sentivo che tutto quello che avevo fatto fino a quel momento stava perdendo significato, stava andando tutto perduto: i miei sacrifici, le notti insonni a causa della fame, le ore passate a studiare ininterrottamente, i grissini mangiati con quella lentezza disarmante, le bugie, la cinta di quattro buchi più stretta… Tutto andava a rotoli e io stavo riprendendo tutti i chili persi, anche se ciò voleva dire rimettermi in salute. Riprendere peso fu davvero difficile: ogni volta che finivo di mangiare avevo un gran senso di vomito e, spesso, rimorsi. Ma ne uscii. Principalmente grazie alla mia forza di volontà e poi anche grazie a Fabrizio, che ogni giorno si informava su cosa mangiavo senza farmi pressioni, ed io, per non deluderlo, cercavo di mangiare sempre qualcosa di più. Era davvero troppo difficile riprendere a pesarsi e vedere quella lancetta che, invece di indietreggiare, avanzava, quindi smisi di farlo. Tutt’oggi non so esattamente quanto peso. Invece ho fatto pace con lo specchio: cerco di sorridere e di accettarmi così come sono adesso, anche se evito di specchiarmi in intimo per non vedere quelle piccole imperfezioni che prima mi apparivano enormi. Credo che non si possa affermare che non sono più anoressica, perché è una cosa che mi porto dentro continuamente. Essendo il peso un mio problema, una mia intima e continua preoccupazione credo che, per quanto io abbia cambiato idea su alcune cose, per quanto abbia ripreso a mangiare, qualcosa mi sia rimasto dentro. Adesso non sono una gran mangiatrice, non ho ripreso con le abbuffate, ma ho ripreso i chili persi (credo di averne presi anche in più, ma sto bene così, non sono sovrappeso) e mangio in maniera sana ed equilibrata, concedendomi anche dei piccoli vizi e dolciumi, a volte. Per questo devo ringraziare principalmente Fabrizio, ma anche chi si occupa di me e chi mi vuole bene così come sono. Spero che la mia storia possa essere d’aiuto per chi non si accetta, per fargli sapere che non è l’unico a soffrire a causa di questa terribile ossessione e che si può guarire. Basta imparare a darsi dei limiti concreti, ad amarsi, ad avere rispetto di se stessi,ed avere fiducia nel fatto che chi non ci apprezza solo per dei chili in più non merita di essere nostro amico. Spero che quella persona possa guardarsi allo specchio e vedere la realtà, e non ciò che la sua mente vuole vedere. Inoltre, una cosa importantissima che ho capito e che voglio condividere con voi è che non mangiare non fa dimagrire , quindi se proprio volete perdere peso, se ne avete bisogno, andate da un dietologo. Si occuperà di impostare una dieta salutare adatta a voi.
Vi ringrazio per avere letto la mia storia, sperando possa essere utile,
Vostra, Cattychan

Published in: on 24 gennaio 2013 at 07:31  Lascia un commento  
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